エピソード

  • Puntata del 02/05/2025
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  • Ripensare l'impresa con l'AI: alla scoperta di AI Week (parte II)
    2025/04/25

    Proseguiamo in questa seconda puntata l'approfondimento sui temi dell'AI Week, che si terrà a Milano il 13 e 14 maggio, affrontando il tema dell'introduzione dell'AI nelle imprese strutturate - come Publicis Sapient o Brembo Solutions. Come si lavora per costruire framework e laboratori interni che ne orientino l’adozione con metodo, responsabilità e visione di lungo termine?

    Newsguard mantiene un approccio puramente giornalistico, limitando l’uso dell’AI a funzioni di supporto come la sintesi o la titolazione, ma senza mai rinunciare alla supervisione umana e alla trasparenza. L’intelligenza artificiale può essere un’alleata, ma chi scriverà domani gli articoli? La risposta, secondo Virginia Padovese, resta: “i giornalisti”. La fiducia e il coinvolgimento attivo dei lettori, uniti a percorsi formativi mirati, sono i cardini per una convivenza sostenibile tra AI e informazione.

    E nelle grandi agenzie internazionali? Marco Barbarini spiega come Publicis Sapient abbia strutturato un framework chiamato Level Up per misurare e indirizzare l’impatto dell’AI nei progetti con i clienti, supportato da un AI Lab trasversale che integra competenze ibride. “Il nostro obiettivo non è sostituire le persone, ma potenziarle: come Iron Man, con l’AI che fa da tuta e potenzia chi la guida”.

    La metafora del supereroe si trasforma in pragmatismo in aziende più tradizionali. Fabio Menichini racconta come, in Brembo Solutions, l’introduzione dell’AI abbia richiesto prima di tutto un lavoro culturale: far evolvere i processi da experience driven a data driven valorizzando però l’esperienza. Il loro Inspiration Lab in California è un avamposto di innovazione, ma le soluzioni devono poi essere applicabili nei contesti reali, dai reparti qualità a quelli ingegneristici, valorizzando le competenze locali.

    Come colmare allora il gap europeo in tema di AI? La risposta sembra univoca: investimenti, metodo, pratica. Ma serve anche coraggio per valorizzare eccellenze come l’artigianalità nel fashion, la creatività applicata o la fiducia nelle nuove generazioni. La trasformazione è in corso: la differenza la farà chi saprà coniugare il talento umano con le potenzialità tecnologiche.

    E se vi foste persi la prima puntata, potete trovarla qui

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  • Ripensare l’impresa con l’AI: alla scoperta di AI Week 2025 (parte I)
    2025/04/18

    L’AI Week si conferma un punto d’incontro cruciale per chi nelle aziende sta cercando di comprendere come applicare concretamente l’intelligenza artificiale e per chi invece è pronto a raccontarne sviluppi e impatti. La prossima edizione del 13-14 maggio a Milano si presenta con un taglio internazionale - doppia lingua, traduzione simultanea - e un programma ricco che spazia dai casi applicativi ai temi etici e normativi.

    Il valore dell’evento emerge in particolare dalla varietà degli interventi. Ai nostri microfoni abbiamo invitato il con-fondatore dell'organizzazione Giacinto Fiore e tre dei protagonisti che saliranno sul main stage della manifestazione per farci dare un assaggio in anteprima dei contenuti che troveremo. Virginia Padovese, Managing Editor e Senior Vice President Partnership per Europa, Australia e Nuova Zelanda di NewsGuard, porterà sul palco una riflessione strutturata sul ruolo dell’AI nella produzione e diffusione della disinformazione: non tanto sulle singole fake news, quanto sulla valutazione di affidabilità delle fonti stesse. Un tema chiave per le aziende che oggi devono proteggere la propria reputazione, ma anche per chi sviluppa strumenti AI basati su dataset online. Quanto siamo sicuri che i modelli generativi non stiano semplicemente amplificando errori preesistenti? E che cosa accade quando il tasso di errore dei bot arriva fino al 62%?

    Il punto di vista di Marco Barbarini, Senior Director e General Manager Italy presso Publicis Sapient, introdurrà invece il nodo della trasformazione sostenibile: l’adozione dell’AI, per generare un vero impatto, deve passare da un cambiamento culturale e organizzativo, non solo tecnologico. Tra governance da ripensare e nuove competenze da introdurre, il problema non è tanto scegliere lo strumento giusto, quanto far sì che le aziende siano pronte a usarlo. In particolare, emerge una frattura: il middle management è spesso l’anello debole nella catena di adozione. Come superare questa resistenza?

    Sul fronte industriale, Fabio Menichini, Senior Manager di Brembo Solutions, presenteràa una case history concreta: Alchemix, un’applicazione AI per la generazione di formulazioni chimiche, ha ridotto da settimane a pochi minuti il ciclo di sviluppo delle pastiglie freno. Ma ciò che colpisce è l’estensione del modello a settori lontani come moda, food o pharma. L’AI diventa qui un abilitatore di “ricerca aumentata”, capace di valorizzare il know-how degli specialisti anziché sostituirli. Un caso di serendipità industriale: tecnologie sviluppate per individuare cricche nei freni si rivelano efficaci anche nel riconoscimento di difetti sui tessuti.

    L’intelligenza artificiale, dunque, entra in azienda in forme molto diverse ma sempre con un requisito chiave: comprendere bene dove e come può realmente abilitare nuovi processi. E il cambiamento, ancora una volta, parte dalle persone.

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  • Industria pesante, intelligenza leggera: l’età delle macchine e la sfida dell’industria 4.0
    2025/04/11

    In un contesto industriale caratterizzato da impianti di dimensioni monumentali e da cicli produttivi stratificati, il progetto di interconnessione digitale avviato da KME Italy nello stabilimento di Fornaci di Barga rappresenta un esempio concreto di come anche le realtà più tradizionalmente "analogiche" possano evolvere verso una logica data-driven. Le macchine coinvolte nel processo, molte delle quali con oltre trent’anni di attività alle spalle, sono state il punto di partenza di una trasformazione che mira a conciliare sostenibilità, efficienza e continuità operativa.

    Come si rende “intelligente” una macchina progettata prima dell’era di Internet? La risposta non è banale e passa per la creazione di un’infrastruttura digitale capace di leggere, estrarre e correlare le informazioni presenti nei PLC di impianto. Il vero salto non è stato solo tecnologico, ma culturale: riconoscere il valore nascosto nei dati, spesso non utilizzati, ha permesso all’azienda di identificare margini di miglioramento su aspetti come la qualità, i tempi di intervento e soprattutto il consumo energetico.

    L’obiettivo del progetto, in fase avanzata di implementazione, è quello di interconnettere almeno sette macchine fondamentali lungo la linea di produzione, inclusi anche i sistemi ausiliari. Il partner tecnologico Alleantia e la piattaforma di analisi SAS hanno avuto un ruolo chiave nel creare un ecosistema in grado di dialogare con i macchinari, restituendo insight utili e immediatamente operativi. Una delle prime evidenze emerse? La conferma che “i processi storici” spesso congelano margini di miglioramento ancora inesplorati.

    Digitalizzare non è solo una questione di efficienza, ma una leva per ridurre i costi strutturali e aumentare la resilienza. Il collegamento con il sistema fotovoltaico installato due anni fa, ad esempio, consente oggi a KME di gestire in modo intelligente l’autoconsumo, correlando i picchi produttivi con la disponibilità energetica.

    A livello organizzativo, l’interconnessione apre lo spazio a nuove professionalità, come l’OT Manager, ponte tra operations e IT, che si affianca ai team di ingegneria di processo. Il messaggio è chiaro: integrare tecnologie e competenze è la chiave per una manifattura più competitiva e sostenibile. E come suggerisce Fanucci, il primo errore da evitare è sottovalutare il potenziale che i dati – anche quelli delle macchine più anziane – possono sbloccare.

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  • Non solo investire, ma co-creare: il modello insurtech di Vittoria Assicurazioni
    2025/04/04

    Non è semplice per un’impresa tradizionale come una compagnia assicurativa aprirsi davvero all’innovazione, ma Vittoria Assicurazioni lo ha fatto con determinazione, avviando già dal 2019 un hub di open innovation che ha saputo mescolare visione strategica, impegno operativo e una comprensione profonda della trasformazione digitale. L’elemento distintivo? Non limitarsi a investire in start-up, ma co-creare, accelerandole a immagine e somiglianza dei bisogni reali della compagnia.

    Nel mondo assicurativo, spesso percepito come resistente al cambiamento, questo approccio rompe gli schemi: invece di cercare soluzioni pronte all’esterno, Vittoria ha scelto di guardarsi “allo specchio”, accompagnando le start-up lungo un percorso che include prevenzione, assistenza, monitoraggio del rischio e, naturalmente, assicurazione. Il tutto organizzato in quattro ecosistemi: casa, persona, mobilità e impresa connessa. Ma perché rischiare con un hub invece di acquisire soluzioni esistenti? "Perché solo così puoi ottenere un’aderenza autentica tra innovazione e modello operativo", risponde Nicolò Soresina, CEO di Vittoria Hub.

    Il valore generato non è solo economico, anzi. Dopo 600 candidature ricevute in cinque anni e una ventina di start-up accelerate, i risultati più interessanti riguardano cultura, know-how, nuovi metodi di lavoro. L’hub ha trasformato anche il mindset interno, favorendo un dialogo più fluido tra il mondo delle start-up e quello delle grandi organizzazioni.

    Ma allora, cosa serve davvero per costruire un hub efficace in azienda? Secondo Nicolò, è questione di metodo, pazienza e una regia mista: servono esperienze che arrivano da fuori, ma anche competenze che crescono dentro. E soprattutto un commitment reale del top management. "Per far avanzare l’innovazione - spiega - non serve un lancio da 40 metri come nel football americano, ma un avanzamento collettivo, compatto, come nel rugby".

    L’esperienza di Vittoria Assicurazioni rappresenta un caso concreto di come anche le realtà più strutturate possano diventare agenti attivi di innovazione, a patto di voler davvero "giocare la partita" con regole nuove. Un modello replicabile? Forse. Ma solo per chi è disposto a investire, prima di tutto, in cambiamento culturale.

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  • Puntata del 28/03/2025
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  • Competenze, sovranità e open source: le carte dell’Europa nel gioco globale del digitale
    2025/03/21

    E se la vera opportunità per le imprese europee, nella sfida tra Stati Uniti e Cina sul fronte digitale, fosse già nelle loro mani? Massimo Banzi, creatore di Arduino, intervistato ai microfoni di Radio Next, sostiene proprio questa tesi: nonostante la percezione comune, l'Europa non è affatto marginale nella competizione tecnologica globale. Certo, i grandi colossi digitali rimangono prevalentemente statunitensi, e i passi avanti compiuti dalla Cina appaiono sempre più rapidi e incisivi. Eppure, l’Europa mantiene un ruolo strategico fondamentale, spesso nascosto ai riflettori. Ad esempio, l'olandese ASML è leader mondiale nella produzione di apparecchiature indispensabili per realizzare microchip di ultima generazione.

    Ma c'è di più. Banzi vede nella sovranità digitale una vera e propria leva strategica: «è necessario raggiungere una certa autonomia, avere le nostre infrastrutture e software», afferma con decisione. E la chiave per questa autonomia risiede nell’open source, che sta già profondamente modificando il mercato. Aziende come la francese Mistral o Hugging Face stanno emergendo come protagoniste nella corsa agli strumenti di intelligenza artificiale open, offrendo valide alternative ai modelli proprietari americani. E qui nasce una domanda cruciale: è possibile competere globalmente applicando regole specifiche solo per l’Europa?

    Banzi sostiene che non solo è possibile, ma che questo rappresenta anche un’opportunità economica: adottare tecnologie open source in server europei significa creare valore, competenze e lavoro in Europa, mantenendo però una collaborazione globale aperta. Un modello già collaudato con successo, come dimostra l'ecosistema Wordpress, diffuso ovunque ma capace di adattarsi localmente alle esigenze normative e di mercato.

    Di fronte a uno scenario internazionale sempre più turbolento, quindi, Banzi vede l’incertezza non come un ostacolo ma come uno stimolo positivo. «Il caos generato a livello globale ha fatto partire numerose iniziative europee che prima erano rimaste in secondo piano», spiega. Una visione che dovrebbe spingere le imprese europee a riflettere: e se proprio questo fosse il momento giusto per investire decisamente in una via europea al digitale?

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  • Europa tech: dal ritardo strutturale alla leadership possibile
    2025/03/14

    L'innovazione in Europa è a un bivio critico. Mentre Stati Uniti e Cina dominano l'intelligenza artificiale e le infrastrutture digitali, il Vecchio Continente si trova a dipendere da tecnologie estere, con il 90% delle aziende europee vincolate ai servizi cloud americani. Ma è davvero possibile invertire questa tendenza?

    Abbiamo affrontato il tema con Umberto Bottesini, founding partner di Blacksheep Ventures

    Il nodo centrale non è tanto la capacità di sviluppare software competitivo-dove l'Europa ha già eccellenze-quanto la fragilità delle infrastrutture tecnologiche. La produzione di semiconduttori e il cloud restano punti deboli, e finché dipenderemo quasi totalmente da fornitori esterni, il rischio di restare esclusi dal gioco sarà concreto.

    Il problema non è solo tecnologico, ma anche finanziario. Gli investimenti europei continuano a fluire verso gli Stati Uniti, dove la fiscalità e i rendimenti sono più attrattivi. Il capitale c’è, ma viene drenato fuori dai confini dell’UE. Il risultato? Un mercato frammentato, con 27 normative fiscali diverse che ostacolano lo sviluppo di un ecosistema competitivo.

    Per un’azienda europea, questo scenario presenta un doppio dilemma: da un lato, le imprese tradizionali devono capire se aspettare o investire subito nell’innovazione; dall’altro, le startup tecnologiche devono trovare modi più efficaci per trattenere talenti e crescere. Come? Adottando modelli di partecipazione più diffusi nel mondo anglosassone, come stock option plan generosi per i dipendenti chiave, e creando tecnologie pensate per rispettare il rigido framework normativo europeo su privacy, sicurezza e copyright.

    L’Europa può trasformare i suoi vincoli normativi in un vantaggio competitivo? E le aziende europee possono smettere di essere il "vaso di coccio" tra Stati Uniti e Cina? La sfida è aperta, ma una cosa è certa: aspettare non è un'opzione.

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