エピソード

  • Da open data a buyer persona: 60 milioni di italiani sintetici per decisioni più mirate
    2025/07/11

    Matteo Giovannetti – co-fondatore e CEO di Clearbox AI, presenta Replica Italia, un “digital twin” costituito da 60 milioni di individui sintetici che riproducono le variabili sociodemografiche e i comportamenti di acquisto degli Italiani reali. Il progetto, spinto dalla necessità di dati di qualità per marketing e analytics, punta a offrire un’unica base informativa coerente e interrogabile in linguaggio naturale.

    La costruzione del gemello digitale si fonda esclusivamente su open data rilasciati da Istat, Eurostat, Agenzia delle Entrate, Banca d’Italia e altre fonti pubbliche; nessun dato personale viene trattato, evitando scraping o pratiche che metterebbero a rischio la privacy. In questo modo l’azienda assicura un impianto etico e legale solido, pur mantenendo la granularità necessaria alle analisi di mercato.

    Quale valore operativo può generare una mappa che segnala dove il tuo target è sovrarappresentato rispetto alla media nazionale? Replica Italia permette di selezionare un indirizzo, impostare un raggio o un’isocrona e ottenere in tempo reale la fotografia socio-economica delle persone che vivono o gravitano nell’area: uno strumento che accelera decisioni su aperture di punti vendita, campagne locali o ridisegno delle reti commerciali.

    Per le imprese che vogliono arricchire la piattaforma con first-party data è disponibile una versione enterprise: il database “si muove” nell’infrastruttura del cliente, evitando l’estrazione di informazioni sensibili e consentendo analisi integrate più avanzate. E la qualità? Clearbox AI applica un layout di validazione automatica che verifica la coerenza statistica di ogni output rispetto alle fonti reali, supportato da metriche open-source maturate in anni di ricerca.

    Quanto sarebbe utile, infine, estendere il modello al B2B per simulare non solo i consumatori, ma anche le aziende e la loro forza lavoro? Clearbox AI sta già esplorando questa evoluzione, aprendo spazi di analisi sulle dinamiche occupazionali e sulle professionalità che cambieranno i mercati nei prossimi anni.

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  • Dati, algoritmi e ospedali: l’efficienza predittiva secondo Siram Veolia
    2025/07/04

    Al Net Zero Milan Expo Summit i microfoni di Radio Next ospitano Riccardo Malabarba Head of Data di Siram Veolia.

    Fin dal 2017 l’utility ha avviato un percorso di trasformazione digitale che integra algoritmi di machine learning nei sistemi di controllo degli impianti energetici a servizio di ospedali e grandi complessi, con l’obiettivo di ottimizzare in tempo reale set-point e flussi multi-energia.

    Il cuore della soluzione è un middleware che armonizza i dati provenienti da asset eterogenei e spesso vetusti, li arricchisce con previsioni meteo e li consegna a modelli predittivi capaci di anticipare la domanda dell’edificio. La robustezza degli algoritmi viene salvaguardata da un monitoraggio continuo: alert automatici segnalano deviazioni critiche e innescano la ri-taratura, rendendo superflue le chiamate “non funziona!” tipiche delle fasi di collaudo.

    Il beneficio? In media un risparmio energetico del 12 % sugli impianti già abilitati, con punte più alte quando il perimetro di controllo include generatori, reti di teleriscaldamento e apparecchiature frigorifere.

    Resta però il nodo della data quality in contesti dove la sensoristica è frammentata da decenni di retrofit: “ospedali con più di cinquant’anni e sistemi dipartimentali che non si parlano” richiedono verifiche di campo e formazione degli operatori, altrimenti il classico garbage in garbage out mina l’efficacia di qualsiasi modello.

    Quanto può pesare la qualità del dato quando l’efficienza si gioca su qualche punto percentuale? E, guardando agli edge-data-center citati nell’intervista, non è forse arrivato il momento di estendere la stessa logica di controllo predittivo all’intera filiera energetica, dal prosumer alla generazione rinnovabile?

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  • Dall’ingaggio alla strategia: trasformare i creator in asset di business sostenibile (parte II)
    2025/06/27

    In un mercato in cui i contenuti digitali sono per la gran parte disponibili gratuitamente per l’utente finale, la sostenibilità economica dei creator passa dalla pubblicità: l’azienda deve quindi considerarli veri e propri partner media, inserendo questa voce di spesa a bilancio con gli stessi criteri di efficacia e misurabilità riservati a TV o stampa.

    Torniamo a parlarne in questa seconda puntata con Aurora Cavallo, creatrice del brand Cooker Girl.

    Le collaborazioni di lungo periodo ricorda Aurora, che vanta accordi pluriennali con brand di cookware rafforzano la credibilità presso il pubblico e consentono di monitorare non solo la reach ma anche la coerenza d’uso del prodotto sul medio periodo, trasformando i post sponsorizzati in proof point continui.

    Il discrimine tra semplice creator e professionista sta nella puntualità delle consegne, nella disponibilità ai rework e nella capacità di co-progettare la campagna; fattori che riducono il rischio operativo per il brand.

    Come integriamo oggi questi indicatori nei nostri processi di sourcing? La selezione del partner non può prescindere dall’allineamento etico e di contesto: rifiutare sponsorship fuori categoria o lontane dai valori dichiarati tutela la reputazione di entrambe le parti e limita le frizioni con le community.

    Nei progetti corporate più strutturati, il brief tende a essere prescrittivo; l’esperienza di Aurora suggerisce di prevenire conflitti con controproposte puntuali, evitando contenuti rigidi che l’utente ignora. L’azienda è pronta a trattare il creator come consulente editoriale e non come semplice esecutore?

    Errori ricorrenti: ignorare il tone of voice per cui il creator è stato scelto, imporre copy innaturali, lanciare prodotti con nomi impronunciabili, privilegiare il messaggio verbale a scapito della resa visiva e dell’opportunità di agganciare trend audio-visivi che moltiplicherebbero la reach.

    Quando il contratto si estende su base annuale, il creator assume un ruolo consulenziale, offrendo insight per i contenuti corporate al di fuori dei propri canali: una competenza di storytelling già inclusa nel costo della partnership che conviene capitalizzare con processi interni disposti ad ascoltare.

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  • Cooker Girl, dalla ricetta al modello di business: la formula della scalabilità dei contenuti (Parte I)
    2025/06/20

    Nel 2020, l'arrivo di TikTok e dei formati short ha spinto Aurora Cavallo a portare la sua competenza culinaria online, trasformando "Cooker Girl" in un laboratorio di sperimentazione. Qui, la prodotto-ricetta viene testata finché non diventa una vera e propria promessa di risultato per l'utente finale.

    Questa attenzione alla validazione tecnica, insieme alla scelta di semplificare i processi senza comprometterne la precisione, evidenzia un punto fondamentale per le aziende di oggi: la qualità percepita passa attraverso l'affidabilità dell'esperienza, non solo attraverso lo storytelling.

    Il modello di business che ne deriva si sviluppa su due fronti. Da un lato, c'è la community B2C, coinvolta con contenuti gratuiti che educano e costruiscono fiducia. Dall'altro, ci sono i clienti B2B, ovvero editori e brand, con cui sviluppare format, libri e masterclass, bilanciando così diverse fonti di ricavo. Non è un caso che l'e-book venduto unicamente sul sito proprietario, senza alcuna spinta pubblicitaria, abbia registrato conversioni significative: la distribuzione diretta diventa un test di maturità per la fan-base e, allo stesso tempo, un laboratorio per nuove linee editoriali.

    Quali competenze servono a un content creator per evolvere in impresa? Prima di tutto, un approccio imprenditoriale, che include la gestione autonoma della contrattualistica e investimenti nella sperimentazione, anche anni prima di vederne i ritorni economici. In secondo luogo, una visione verticale sul prodotto: ogni ricetta è trattata come un servizio, affinata per essere scalabile e replicabile dall'utente, a dimostrazione che competenza e intrattenimento non sono in opposizione ma leve complementari.

    Come, dunque, trasformare i contenuti in asset aziendali? La risposta sta in una strategia che vede il personal brand come una vera e propria piattaforma: un presidio diretto della relazione con il pubblico, una sperimentazione costante di formati e pricing, e alleanze industriali mirate per espandere il portafoglio senza limitarsi a essere un semplice fornitore di visibilità.

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  • Chi sopravvivrà alla transizione digitale dei trasporti? (Parte II)
    2025/06/13

    La trasformazione digitale del settore dei trasporti non è più una scelta strategica opzionale, ma una necessità competitiva dettata dalla convergenza di pressioni normative, carenza di manodopera e richieste sempre più stringenti dei clienti. Le imprese si trovano oggi davanti a un bivio: investire in tecnologie che riducano l'impatto ambientale e migliorino l'efficienza operativa, oppure rischiare di essere escluse dai tender più importanti.

    Come spiega Andrea Fossa, responsabile scientifico dell'Osservatorio Contract Logistics Gino Marchet del Politecnico di Milano, il retrofit tecnologico sui mezzi esistenti rappresenta una delle prime sfide pratiche per le aziende. Mentre la telematica di bordo è ormai diffusa anche sui veicoli più datati, il vero salto di qualità arriva con l'utilizzo dei dati in tempo reale per ottimizzare i consumi e ridurre le emissioni. Non si tratta più di affidarsi a stime di letteratura o protocolli standard, ma di misurare l'effettivo consumo di carburante, tracciare i comportamenti di guida e identificare margini di miglioramento che possono raggiungere cifre a doppia percentuale.

    Ma quanto sono davvero ricettive le imprese di fronte a sistemi che diventano sempre più complessi? La dimensione aziendale fa la differenza. Le flotte più grandi hanno già investito in control tower e sistemi di ottimizzazione avanzati, sfruttando marketplace e piattaforme digitali per massimizzare la saturazione dei mezzi e ridurre i chilometri a vuoto. Per le realtà più piccole, l'accessibilità tecnologica è aumentata grazie alla riduzione dei costi dell'IoT e dei sensori, rendendo possibile implementare soluzioni un tempo riservate ai grandi operatori.

    Michele Palumbo, docente di Operations e Supply Chain alla Cattolica di Milano, sottolinea come la pressione normativa europea, con l'estensione dell'ETS al trasporto su strada prevista per il 2026, stia accelerando questi processi. Non si tratta solo di conformità: i clienti iniziano a inserire nei capitolati richieste specifiche sui piani di miglioramento ambientale nei contratti pluriennali. Il calcolo delle emissioni CO2 diventa parametro di gara accanto a costi, servizi e tempistiche.

    In questo scenario, la carenza di autisti - 25.000-30.000 unità mancanti solo in Italia, con una previsione di pensionamento del 50% degli attuali conducenti nei prossimi dieci anni - rappresenta paradossalmente un'opportunità. Lo sviluppo di sistemi sempre più automatizzati e l'evoluzione verso cockpit digitali avanzati possono rendere la professione più attrattiva per i giovani, trasformando un mestiere tradizionalmente percepito come pesante e poco tecnologico.

    Come si concilia però questa spinta verso l'automazione con l'esigenza di mantenere competitività sui costi? La risposta sta nell'ottimizzazione: utilizzare algoritmi predittivi per la pianificazione delle rotte, sfruttare i big data per anticipare le esigenze della supply chain, implementare sistemi che passino dal semplice controllo descrittivo alla gestione autonoma dei processi. Palumbo evidenzia come stiamo assistendo a una migrazione verso un mondo autonomo, capace di considerare informazioni in tempo reale e trovare soluzioni ottimali sulla base di parametri multipli.

    Le aziende che hanno investito in questa direzione non solo rispettano i parametri di sostenibilità richiesti dai clienti, ma sviluppano anche un vantaggio competitivo nell'attrarre talenti. Come osserva Fossa, il tema dell'attrattività diventa cruciale: lavorare per un'azienda green che investe in digitale e sostenibilità fa la differenza sia nel recruitment che nella retention del personale. L'evoluzione è in corso e le aziende devono decidere se cavalcare l'onda dell'innovazione tecnologica o subire le conseguenze di un mercato che premia sempre più chi sa coniugare efficienza operativa, sostenibilità ambientale e capacità di adattamento ai nuovi paradigmi digitali.

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  • Dati, algoritmi e collaborazioni: le tre leve degli autotrasporti per vincere l'ETS (Parte 1)
    2025/06/06

    L’ESG nel trasporto non è più questione di efficienza o servizio. Il paradigma è sistemico e strategico: l’Emission Trading System dell’UE stabilisce un tetto alle emissioni e costringe ogni tonnellata di anidride carbonica a trovare un prezzo sul mercato. Con Fit for 55 il meccanismo, dopo aviazione e marittimo, si estende alla strada dal 2026; in Germania il carbon charge ha già toccato 50 €/t e, agendo a monte sul carburante, interesserà l’intera filiera dell’autotrasporto.

    Il primo passo operativo per un’azienda è misurare. Senza dati granulari sulle emissioni non si prendono decisioni né si accede a eventuali crediti; la qualità del reporting diventa parte del rischio regolatorio e del vantaggio competitivo.

    Il secondo è cooperare. La sostenibilità richiede di creare sinergie anche fra concorrenti, condividendo carichi, infrastrutture digitali e standard di scambio dati. Quanto siamo disposti a rivedere i confini tradizionali pur di ridurre il costo della decarbonizzazione?

    La leva tecnologica abilita questa evoluzione. Dall’analisi descrittiva dei flussi si passa a intelligenze prescriptive e, a tendere, a sistemi autonomi che ricalcolano rotte in tempo reale integrando traffico, costi e vincoli ESG. L’adozione di algoritmi predittivi basati su big data non è più appannaggio dei grandi player: piattaforme as-a-service rendono accessibili ai padroncini gli stessi strumenti di ottimizzazione. Quali investimenti in AI-driven planning possono ancora essere rimandati?

    La carbon tax implicita dell’ETS esigerà un pricing dinamico dei trasporti, nuovi modelli di procurement energetico e scenari di rete che valorizzino le leve di mitigazione. La velocità dell’esecuzione determinerà la quota di mercato e la marginalità delle imprese nel prossimo triennio.

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  • Dalla lamiera al bit: il modello digitale che ridisegna l’ecosistema dell'acciaio
    2025/05/30

    Come trasformare una filiera matura in un hub di conoscenza quotidiana? Nel caso dell’acciaio, la risposta di Paolo Morandi, CEO di Siderweb, è una piattaforma digitale che connette 1.500 aziende lungo tutta la catena del valore, dai rottami alla distribuzione, integrando dati di mercato, analisi dei prezzi e ricerche originali in tempo reale. Il risultato è un connettore di conoscenza che, grazie a un ufficio studi verticale, rileva settimanalmente 60 categorie di prodotto e offre insight finanziari e normativi indispensabili per decisioni operative e strategiche.

    L’asse portante del modello è la community: contenuti prima, relazioni subito dopo. Webinar settimanali con centinaia di partecipanti e la biennale “Made in Steel” trasformano la dimensione online in momenti fisici di confronto, ribadendo che la tecnologia abilita ma le persone consolidano il valore. In questo equilibrio l’intelligenza artificiale diventa il prossimo acceleratore: dalla profilazione delle informazioni all’automazione dei prezzi, prepara la filiera a navigare mercati sempre più volatili.

    Il nodo della sostenibilità — economia circolare basata sul rottame, riduzione delle emissioni, regolamentazioni europee — spinge le imprese verso sinergie ancora parzialmente inesplorate. Da qui nasce “Industria Acciaio 2050”, esercizio condiviso tra produttori, distributori e settori d’impiego per anticipare materiali, processi e modelli di business dei prossimi decenni.

    Non basta però la proiezione sul futuro: occorre rendere il settore attrattivo per i talenti digitali. “Siderweb Educational” riunisce academy e best practice per raccontare l’acciaio come tecnologia abilitante e non come industria tradizionale. Quale altra filiera potrebbe trarre benefici da un hub che unisca formazione, dati proprietari e networking verticale?

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  • L’IA non pensa, ma ci costringe a pensare
    2025/05/16

    Nel nostro dialogo con Riccardo Manzotti, ordinario di filosofia teoretica allo IULM di Milano, emerge una riflessione profonda e controcorrente sull’intelligenza artificiale, affrontata non dal punto di vista tecnico, ma da quello più inquietante e strategico: che cosa significa davvero pensare, e cosa ci distingue - se ancora qualcosa ci distingue - da un sistema algoritmico capace di linguaggio.

    L’intelligenza artificiale generativa oggi non è pensante nel senso classico, sostiene Riccardo Manzotti, e forse nemmeno noi lo siamo nel modo in cui ci siamo raccontati. Il pensiero, tradizionalmente legato a un “io interiore”, non è mai stato individuato scientificamente. E allora: abbiamo davvero bisogno del concetto di pensiero individuale per spiegare le capacità cognitive, oppure è un residuo animista che possiamo abbandonare?

    L’AI lavora diversamente da noi: parte dalla conoscenza e dal linguaggio, mentre l’evoluzione umana ha prima dato corpo e volontà, poi parola. È quindi legittimo chiedersi: stiamo davvero saltando le tappe, oppure stiamo invertendo la direzione evolutiva? E in questa inversione, quali sono i rischi, ma anche le opportunità strategiche per le organizzazioni?

    Un punto chiave per le imprese è comprendere che ciò che definiamo “intelligenza” non presuppone necessariamente coscienza o intenzione. Gli LLM (Large Language Models) non hanno uno scopo proprio: trasformano l’informazione in conoscenza, ma non “vogliono” nulla. Tuttavia, l’asimmetria tra linguaggio e volontà apre scenari complessi. Siamo pronti a riconoscere il momento in cui un sistema smette di essere uno strumento e inizia a essere un soggetto? E in quel momento, con quali criteri etici e giuridici dovremo trattarlo?

    Per le aziende, la posta in gioco non è solo l’adozione efficiente dell’AI, ma la capacità di interfacciarsi con un “agente” che imita - e forse supererà - le dinamiche sociali e cognitive umane. L’AI è uno specchio: ci mostra ciò che siamo, e ciò che potremmo perdere. La differenza cruciale, secondo Manzotti, resta nella nostra capacità di creare l’incommensurabile, di dare valore, di concepire ciò che ancora non esiste.

    In questo quadro, la domanda decisiva non è tanto “cosa può fare l’AI per noi”, quanto “cosa dice di noi il modo in cui costruiamo e usiamo l’AI”. E soprattutto: saremo capaci di distinguerci, o ci limiteremo ad allenare una macchina a diventare più umana di noi?

    Proveremo a dare risposte a queste e ad altre domande. Buon ascolto!

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