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Torino e Cultura

Torino e Cultura

著者: Carlo De Marchis
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このコンテンツについて

Podcast sulle persone che fanno cultura a Torino. Ideato e prodotto da Carlo De Marchis.Carlo De Marchis 社会科学
エピソード
  • Ep. 80: Giovanni Durbiano – Architettura come pratica pubblica e cultura torinese
    2025/09/08

    In questo episodio di *Torino e Cultura* ho incontrato Giovanni Durbiano, architetto e docente del Politecnico di Torino. La sua storia è quella di un professionista che non ha mai lasciato Torino e che proprio da questo radicamento trae la capacità di leggere la città dall’interno, tra cantieri, musei, vincoli istituzionali e trasformazioni culturali.Il legame con la cultura nasce presto, al liceo, quando insieme al compagno di banco Alessandro Heffler realizza cartoni animati e corti sperimentali. Notati da Steve Della Casa, vincono un premio al Torino Film Festival con *I Tuffi*. Segue un viaggio a Madrid con altri giovani artisti torinesi — da Alessandro Baricco a Mimmo Calopresti — che gli fa intuire quanto la cultura sia soprattutto incontri e occasioni.Poi arriva un momento decisivo: l’incontro con Luca Fiore, disegnatore di talento. «Lui era davvero un artista, io no», ricorda Durbiano. È la consapevolezza che lo spinge a scegliere l’architettura e a vivere l’università con serietà, trovando nel docente Roberto Gabetti un modello di architetto-intellettuale capace di dare forma a una visione del mondo.Con il tempo, però, Durbiano prende le distanze da quel modello: la realtà contemporanea non permette più di basare un progetto sull’autorevolezza del singolo. Decisivo è anche il dialogo con il filosofo Maurizio Ferraris, che lo porta a pensare che siano gli oggetti stessi a produrre effetti, non solo le intenzioni dei progettisti. Nel 2012 fonda lo studio con Alessandro Armando e Manfredo Di Robilant, costruito su questa idea di architettura “menautoriale” e strategica.Da lì in avanti si confronta con alcuni dei luoghi più iconici di Torino — dal Palazzo Reale a Palazzo Carignano, dal Borgo Medievale al Museo regionale di scienze naturali — imparando a gestire l’imprevedibilità dei cantieri pubblici: cambi di amministrazioni, vincoli della soprintendenza, persino la scoperta di una necropoli romana sotto un pavimento radiante.Un caso emblematico è il progetto per il parco archeologico delle Torri Palatine. Lì la scelta non è stata quella di imporre un segno architettonico nuovo, ma di restituire il luogo come giardino aperto, capace di adattarsi a usi e significati diversi. Non erano i turisti a viverlo, ma comunità di migranti che vi proiettavano memorie di altre rovine. Un esempio concreto di come l’architettura debba riconoscere l’imprevedibile e trasformarlo in valore.Per Durbiano l’architettura è soprattutto pubblica e clinica: pubblica perché riguarda chi attraversa e percepisce lo spazio, clinica perché ogni luogo richiede un approccio unico. È un cantiere sempre aperto, soggetto a condizioni imprevedibili, ma anche una promessa progettuale che deve rimanere coerente e raccontabile.C’è infine una lezione che lo accompagna dagli anni dei cartoni animati: non prendersi mai troppo sul serio. «La nostra vita professionale può essere figlia di occasioni, in cui conta poco anche il merito e contano invece la fortuna, gli incontri», dice. È lo sguardo di chi riconosce che ogni opera è sempre il frutto di una costruzione collettiva.Così il racconto di Giovanni Durbiano diventa anche il ritratto di Torino: un laboratorio permanente in cui cultura, storia e futuro si intrecciano, e in cui l’architettura si misura con la sfida di restare fedele a se stessa senza smettere di adattarsi al mondo che cambia.

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    22 分
  • Ep. 79: Valentina Pozzi - Cinema indipendente e comunità creative
    2025/07/08

    Valentina Pozzi aveva un sogno di camice bianco e bisturi, ma il destino le ha messo davanti una macchina da presa. La regista torinese di 42 anni racconta come un incontro con Libero De Rienzo abbia stravolto i suoi piani: "Volevo fare chirurgo plastico e poi ho conosciuto Libero che mi ha detto dai vieni qualche giorno giù a Roma con me. Sono rimasta sei anni là e abbiamo prodotto insieme un film."L'esperienza sul set di "Sangue", primo film di De Rienzo come regista, è stata la sua scuola di vita: "Ho imparato tutto quello che so perché ogni settimana di lavorazione la facevo in ogni reparto." Un cinema "sporco", fatto di imperfezioni e collettività, che sfida le gerarchie tradizionali: "Eravamo un gruppo di zingari del cinema e di operai, ci siamo ritrovati a occupare questo set per sovvertire quelle modalità gerarchiche cementate nel cinema romano."Dopo il ritorno a Torino, Valentina ha costruito un percorso tra videoclip e progetti artistici, collaborando con Boosta, Niccolò Fabi e Willy Peyote. Il videoclip "Io sono l'altro" con Fabi rappresenta un momento di svolta: quello che doveva essere un progetto complesso si è trasformato in intimità autentica. "Ricordo di aver detto a Niccolò: cantala a me, guardami e cantala." Da quella connessione è nato un video che ha commosso tutti sul set.Fabi le ha insegnato la flessibilità creativa: "Mi ha sempre detto che il fatto che decidiamo di far partire le cose in un modo non vuol dire che non dobbiamo avere l'intelligenza di renderci conto quando assumono una forza loro più potente."La poetica di Valentina è caratterizzata da elementi ricorrenti: "Nella maggior parte dei miei video ci sono o i miei cani o degli animali oppure c'è il vento." Il vento diventa metafora di trasformazione: "È un movimento utopico, un moto a luogo, come lo definiscono nell'antica Grecia, il concetto in cui ci dovremmo spostare tutti nella vita."Centrale è la distinzione tra guardare e vedere: "Siamo tutti incentrati sul guardare le cose, ma a volte non le vediamo. È una differenza semantica minima ma gigantesca." Questo si riflette nella predilezione per il cinema imperfetto, dove sfocatura e imperfezione diventano strumenti espressivi.Torino è il palcoscenico dei suoi lavori: "Il grigio torino è una tavolozza incredibile, se hai una superficie piatta puoi farci di tutto." La sua vita artistica si intreccia con quella imprenditoriale attraverso il locale Barbiturici, gestito da 11 anni: "È diventato un catalizzatore di cose artistiche, fa parte del pacchetto Illegal Film."L'Atletico Barbiturici, squadra sportiva che ha fondato, rappresenta la sua filosofia comunitaria: "Ci siamo stufate di fare le cose da soli, vogliamo qualcuno che venga con noi senza giudizio."Il progetto più recente è "Sangue Nostro", documentario dedicato al metodo di De Rienzo, realizzato con Elio Germano: "Racconta la volontà di creare qualcosa insieme in maniera libera e consapevole." Il cerchio che si chiude, celebrando il cinema come atto collettivo per vedere il mondo da angolazioni diverse.

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    28 分
  • Ep. 78: Mathieu Jouvin - Il sovrintendente francese che ha rilanciato il Teatro Regio
    2025/06/24

    Mathieu Jouvin, sovrintendente del Teatro Regio da tre anni, racconta la rinascita di una delle istituzioni culturali più prestigiose d'Italia. Il dirigente francese ha trasformato un teatro in crisi in un punto di riferimento internazionale per l'opera.La passione nasce a Montpellier, dove il nonno faceva la coda all'Opéra Garnier per i biglietti della Callas. A dieci anni vede Carmen, ma il colpo di fulmine arriva a diciassette con Cavalleria Rusticana: "Ho percepito emozioni che non avevo mai percepito nell'arte, un'emozione pazzesca". Da autodidatta, sviluppa un amore per la scoperta che caratterizzerà la sua direzione: "Mi piace molto scoprire e ogni stagione cerchiamo di portare cose meno conosciute per incuriosire".Dopo studi in economia, uno stage all'Opera di Parigi "mi salva la vita". A 24 anni gestisce il budget di 750 persone, imparando ogni mestiere del teatro: "Va bene gestire le cifre, ma se non sai cosa c'è dietro non capisci nulla". Seguono nove anni all'Opera di Lione, dove diventa "migliore opera al mondo", e quattro al Théâtre des Champs-Élysées.L'arrivo a Torino nel 2022 rappresenta la sfida più grande. Il Regio aveva problemi economici e commissariamento. "Mi sono messo nella lavatrice", ammette, descrivendo mesi intensi di riorganizzazione totale. "Il teatro aveva bisogno di essere rimesso a posto, mancavano tante figure apicali", mentre doveva garantire la continuità artistica e programmare il futuro.La strategia richiedeva equilibrio estremo: "Era una tensione permanente tra proporre qualcosa di originale, sapendo che non eravamo attrezzati. Era giocare con il limite". I primi mesi furono difficili, con "telefonate anonime, rumori" e clima mediatico ostile.Il successo arriva gradualmente: premio Abbiatti per Juve, poi per Manon. "Questo ha dimostrato che qualcosa stava succedendo". L'innovazione delle anteprime giovani diventa un fenomeno: "Vedere tutti questi giovani che si sono appropriati il teatro è bellissimo", riflettendo la filosofia "Il Regio è di tutti".La programmazione segue sempre un filo conduttore. "L' Amour Tojours" ruotava intorno a Puccini e l'amore, "La meglio gioventù" sui giovani. La nuova stagione "Rosso" esplorerà "questa tensione tra desiderio e violenza", citando Malraux: "Cerco questa regione dell'anima dove il male si oppone alla fratellanza".Jouvin ama profondamente Torino, citando Eco: "Senza l'Italia Torino sarebbe comunque Torino". Apprezza la modestia e il rapporto serio con il lavoro: "È come un segreto nascosto, un gioiello conosciuto solo da chi sa". La città permette libertà artistica: "Ci sentiamo molto liberi di proporre quello che vogliamo".Oggi la trasformazione è completa: "Non ho più bisogno di intervenire sulla vita quotidiana. Siamo riusciti a rimettere l'organizzazione a posto". Il pubblico dimostra fiducia anche verso titoli meno noti, segno di una rinascita autentica che ha restituito al Teatro Regio la sua identità e prestigio internazionale.

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    50 分
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