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Torino e Cultura

Torino e Cultura

著者: Carlo De Marchis
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このコンテンツについて

Podcast sulle persone che fanno cultura a Torino. Ideato e prodotto da Carlo De Marchis.Carlo De Marchis 社会科学
エピソード
  • Ep. 83: Lucrezia Nardi – L’arte come rituale, radicamento e atto politico
    2025/10/21

    Nel nuovo episodio di Torino e Cultura ho incontrato Lucrezia Nardi, curatrice, docente e ricercatrice torinese. La sua voce è quella di chi vive l’arte come una forma di educazione, di emozione e di comunità. “La pratica didattica è strettamente collegata alla curatela,” racconta, “perché entrambe diffondono un pensiero. Il curatore è un’orchestra di relazioni e processi.”Da sette anni insegna Storia dell’arte contemporanea e Storia dell’arte sociale allo IAAD. Per lei, insegnare è un gesto di appartenenza, un modo per restituire ciò che si è imparato viaggiando. Torino è casa, ma anche punto di ritorno dopo tanti spostamenti: New York, Parigi, Belgrado. “Ho frammenti di me in tanti luoghi,” dice. “Il viaggio mi ha insegnato che si può essere radicati e nomadi allo stesso tempo.”L’arte, per Lucrezia, è un atto di generosità. “Fare la curatrice è dare spazio e voce,” spiega. La sua vocazione nasce da una catarsi davanti a una mostra a New York: “Ho provato un’emozione talmente forte da volerla portare agli altri.” Da allora lavora con artisti emergenti, spesso ex studenti, in una relazione di scambio continuo: “Io aiuto loro a crescere, loro aiutano me a imparare.”Descrive il suo mestiere come una tessitura infinita di relazioni che si scompone e si ricrea ogni volta. “Li accompagno, poi li lascio andare. È un processo romantico e ciclico.”Oggi la sua pratica si muove tra Torino e il mondo: ha lavorato con il Museo d’Arte Contemporanea di Belgrado e partecipato alla Biennale di Gwangju in Corea. Ma l’asse resta sempre la relazione tra indipendenza e istituzione. “Ci sono differenze di mezzi e di processi, ma la sostanza è la stessa: il rapporto con le persone.”Al centro di tutto, però, c’è l’emozione. “Io mi occupo di emozioni, non di nient’altro,” dice. “È un pensiero radicale, e quindi politico. Tutto ciò che è umano diventa sociale.”Per lei, l’arte è un modo per curare la solitudine contemporanea. Viviamo frammentati, tra corpi e dispositivi, immersi nelle storie degli altri, eppure isolati. “L’arte è uno spazio per tornare umani.”Negli ultimi anni Lucrezia osserva un ritorno al rituale nell’arte contemporanea: un bisogno di archetipi e gesti antichi anche dentro l’ipertecnologico. “C’è un ritorno all’ancestrale, a un sentire che riporta umanità nel digitale,” spiega.Racconta un momento che l’ha segnata: “A Bruxelles, davanti a un video di Bartolina Xixa, ho pianto. Quella musica me la ricordo ogni volta che mi sento sola.” È in quell’emozione condivisa che ritrova il senso profondo dell’arte: “Andare fuori dalla realtà per ritrovarne una arricchita, dove la solitudine si dissolve.”Come docente, Nardi si interroga su chi decide cosa è degno di essere insegnato. “Posso avere la mia poetica,” dice, “ma devo offrire agli studenti anche estetiche che non mi appartengono. È un atto di apertura.”Insegna pratiche transdisciplinari tra arte e design, e coinvolge gli studenti nei suoi progetti: “La didattica deve essere uno scambio reciproco.”Questo approccio ha trovato una forma concreta nel Barriera Design District, associazione nata per mappare e unire le realtà creative di Barriera di Milano. “Abbiamo scoperto più di 80 luoghi di arte e cultura in poche vie,” spiega. “Ma queste realtà non parlano tra loro. Il nostro obiettivo è connetterle.”Per Lucrezia è anche un modo per lavorare contro la gentrificazione culturale: “Non voglio portare dall’alto il mio contenuto, ma costruirlo insieme alle comunità locali.”In tutto ciò, la domanda che la guida resta sempre la stessa: “Come si fa ad aprire rimanendo fedeli a se stessi?”Una tensione costante tra autenticità e accessibilità, tra estetica e inclusione.Alla fine dell’intervista, sintetizza tutto in una frase che resta:“Noi siamo architetture sensibili, e tutto quello che faccio è per far sentire quello che sento io quando entro in una mostra.”

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    19 分
  • Ep. 82: Giuseppe Culicchia - Dalla provincia al cuore letterario di Torino
    2025/10/14

    Giuseppe Culicchia racconta la sua storia partendo dalle origini: figlio di un barbiere di Grosso Canavese e di un'operaia tessile, è cresciuto in un paesino senza librerie né biblioteche. Eppure, proprio in quel contesto apparentemente privo di stimoli culturali, è nata la sua passione per la lettura, alimentata da un padre che, pur non avendo molti soldi, ordinava volentieri i libri che il figlio desiderava.Il 15 dicembre 1976 segna uno spartiacque nella sua vita. Tornando a casa da scuola, appena undicenne, trovò la famiglia in lacrime: Walter Alasia, suo cugino e figura fraterna, era stato ucciso dopo essere entrato nelle Brigate Rosse. Quel giorno decise che avrebbe raccontato chi era Walter prima di diventare un brigatista. Ci avrebbe impiegato 45 anni.Il percorso verso la scrittura non fu semplice. Scoraggiato dall'iscriversi al liceo classico, frequentò ragioneria studiando materie che detestava. Ma proprio questo lo spinse a rifugiarsi ancora di più nella letteratura. La scoperta di Hemingway, attraverso una copia di "Fiesta" trovata in casa, fu una rivelazione: capì che la scrittura poteva restituire voci autentiche, trasformare personaggi in persone vere.La sua gavetta passa per i luoghi simbolo della cultura torinese: piccole librerie, il primo Salone del Libro del 1988 (dove incontrò Fernanda Pivano, pensando che quella mano aveva stretto quella di Hemingway), la Libreria Internazionale del Salone con i suoi orari massacranti ma che gli garantivano sempre mezza giornata per scrivere.L'incontro con Pier Vittorio Tondelli fu decisivo. Tondelli pubblicò cinque suoi racconti nell'antologia "Under 25-3" del 1990 e gli suggerì di scrivere un romanzo. Nacque così "Tutti giù per terra" (1994, Garzanti), il cui protagonista si chiamava Walter - unico modo che aveva all'epoca per ricordare il cugino.Il grande successo arrivò nel 2005 con "Torino è casa mia" (Laterza), nato dall'idea di raccontare la città come se fosse un appartamento. Il libro vendette 250.000 copie e divenne una guida per chi arrivava a Torino durante le Olimpiadi del 2006, scoprendo una città ben diversa dall'immaginario della "città-fabbrica."Dall'aprile 2025, Culicchia dirige la Fondazione Circolo dei lettori. La sua visione per il Circolo dei lettori e delle lettrici è chiara: non solo presentare novità editoriali, ma anche approfondire il catalogo e promuovere un "Dialogo Aperto", titolo della nuova stagione del Circolo In un'epoca di scontri e contrapposizioni, richiama le parole dell'arcivescovo Zuppi: "Dove cessa il dialogo inizia la barbarie." Uno dei primi cicli di incontri che ha ideato parte dal Novecento italiano: avanguardie artistiche, guerra civile, boom economico, terrorismo e stragi di mafia. Cinque momenti per riflettere sul presente attraverso il passato, quel "secolo breve che fatica a finire."Il primo ciclo di incontri che ha organizzato parte dal Novecento italiano: avanguardie artistiche, guerra civile, boom economico, terrorismo e stragi di mafia. Cinque momenti per riflettere sul presente attraverso il passato, quel "secolo breve che fatica a finire."Culicchia continua a scrivere, lavorando sempre con anticipo. Ha già consegnato diversi libri per i prossimi anni, scritti perché sentiva fossero necessari. Dal paese del Canavese dove ordinava libri attraverso una rivendita, al cuore della cultura torinese: un percorso che dimostra come la letteratura possa cambiare una vita.

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    31 分
  • Ep. 81: Casa Fools - Luigi Orfeo - Opera e teatro come missione di riscatto sociale
    2025/10/02

    Luigi Orfeo è nato e cresciuto nell'area nord di Napoli, a Scampia, e il suo incontro con il teatro è stato quasi accidentale. "Io devo ringraziare tantissimo una parrocchia che fra le varie cose che aveva, aveva un campo di calcetto perché a me lo teatro non portava proprio niente, io giocavo a pallone," racconta con sincerità. Ma quella stessa parrocchia ospitava una compagnia amatoriale che prendeva il teatro come "un impegno serio," e il giovane Luigi rimase incantato guardando le loro prove. A dieci anni aveva già visto quasi tutte le commedie di Eduardo dal vivo, finché non decise di provare a partecipare. Il ricordo è nitido: "Davanti a Filumena Marturano piangevo, ero estasiato."A quattordici anni scrisse il suo primo spettacolo teatrale, che sua madre conserva ancora "col titolo colorato con i pennarelli." Da lì iniziò a fare teatro "come la cosa più naturale del mondo, cioè non sapevo niente del teatro, io lo facevo perché lo facevo e basta." Questo atteggiamento spontaneo è rimasto per tutta la vita: "Io faccio teatro e basta. Sì, poi ho studiato per farlo meglio." Gli studi lo portarono alla Silvio D'Amico, dove incontrò Stefano durante i provini. Da allora, vent'anni insieme nell'avventura dei Fools.Ma la vera rivelazione che ha segnato il percorso artistico di Luigi è arrivata attraverso l'opera lirica. Dopo aver studiato regia operistica, nel 2015 gli offrirono di dirigere la Tosca. "Esaltatissimo accetto, attacco, chiamo mia madre e dico: mamma che bellezza faccio la regia di Tosca." La risposta fu disarmante: "E chi è Tosca?" pensando che fosse una persona. "Io là ho capito la profonda ingiustizia che c'è nel divario culturale."Per Luigi, l'opera lirica rappresenta qualcosa di unico: "È forse la più grande invenzione artistica del genere umano, perché dentro l'opera ci sono tutte le arti che l'umano ha inventato, tutte in un equilibrio perfetto." La musica ha un potere particolare: "Ti pervade prima ancora che arrivi il senso, tu ti trovi a piangere prima ancora di capire perché." Nonostante i suoi successi internazionali - è stato probabilmente il più giovane regista d'opera italiano ad allestire un'opera completa in Medioriente, nell'anfiteatro romano di Amman - qualcosa non andava. Vedeva "gente impellicciata" a teatro mentre "persone che invece ne avrebbero tratto un giovamento incredibile non sapevano niente di tutta quella bellezza."La diagnosi è chiara: "L'opera è un'arte popolare che abbiamo fatto diventare un'arte elitaria." Un'arte che appartiene apparentemente solo "a chi se lo può permettere, sia economicamente che intellettualmente. Cosa assolutamente inverosimile," perché Rigoletto "è stata scritta per sobbillare il popolo e il popolo grazie a Rigoletto ha cominciato a incazzarsi col potere."Da questa consapevolezza è nato Opera Pop, lirica raccontata ad arte, un ponte tra quest'arte e le persone che non solo non ne sanno niente, ma "non ne vogliono sapere niente." Il progetto, iniziato dal vivo e poi trasferito sui podcast durante il Covid, è diventato probabilmente il podcast più ascoltato d'opera lirica in Italia. Luigi ha raccontato opere ovunque: "Dal teatro lirico ufficiale fino a un prato in un orto con le galline sotto i piedi, ma ti dico con le galline sotto i piedi."Il Covid ha insegnato due lezioni fondamentali: "Uno, al potere non gliene frega niente della cultura. Se sparisce è pure meglio, ci levano pensieri. Due, sottostima quanto invece al pubblico, alle persone, questa roba qua piace. Piace perché li unisce, piace perché li fa stare insieme."La missione di Luigi e dei Fools è chiara: diffondere cultura, bellezza e attraverso queste "cercare un modo per ristabilire e creare legami fra le persone." Il successo costante dal Covid in poi non è casuale: "Non perché siamo fighi, perché rispondiamo a un bisogno reale."

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    8 分
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