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La Sveglia di Giulio Cavalli

La Sveglia di Giulio Cavalli

著者: Giulio Cavalli
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このコンテンツについて

Dal lunedì' al venerdì, ogni mattina, la sveglia per il quotidiano La Notizia. E poi le letture. E tutto quello che ci viene in mente.

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政治・政府
エピソード
  • Punire tutti, salvare il potere: dottrina Gaza
    2025/08/19
    Il genocidio è una politica, non un incidente. Il ciclo è chiaro: mentre in Israele decine di migliaia di persone chiedono un accordo per liberare gli ostaggi, il premier attacca chi protesta, equipara i familiari a «fiancheggiatori di Hamas» e avverte che le piazze «garantiscono un nuovo 7 ottobre». È l’uso del dolore come strumento di governo, funzionale a prolungare la guerra e a schiacciare il dissenso.
    Sul tavolo, intanto, c’è una nuova proposta di cessate il fuoco mediata da Qatar ed Egitto; le fazioni palestinesi hanno sollecitato Hamas a rispondere. Ma Netanyahu insiste sul pacchetto “tutto in uno”: liberazione completa, resa di Hamas, controllo israeliano su Gaza. Ha ripetuto che le intese parziali «appartengono al passato». Condizioni scritte per non atterrare: l’esito utile non è l’accordo, è il rinvio.
    A Gaza la politica diventa geografia: ordini di evacuazione interi quartieri, la parrocchia della Sacra Famiglia avvisa che «si distribuiscono tende». È il trasferimento forzato in forma amministrativa, l’urbanistica della precarietà.
    La fame resta l’arma meno rumorosa. Amnesty parla di una strategia deliberata di affamamento: convogli bloccati, infrastrutture distrutte, bambini denutriti. È la distruzione delle condizioni di vita, non un danno collaterale
    Chiamare questa sequenza “guerra” oscura la realtà: punizione collettiva, deportazione di fatto, negazione del soccorso. Si può misurare nei corpi e nelle mappe.Finché la comunità internazionale accetterà la semantica dell’emergenza, la politica del genocidio resterà ordinaria amministrazione.

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  • «Una Nakba ogni tanto»: il manifesto della vendetta
    2025/08/18
    Benjamin Netanyahu sogna una nuova Nakba. È la grammatica della forza, mentre in Israele i familiari delle vittime annunciano scioperi e blocchi per forzare un compromesso. A Gaza l’offensiva non si ferma: vengono colpite anche aree dichiarate “sicure” come Muwasi, i bambini continuano a morire, la fame è diventata struttura, l’acqua è contaminata, le malattie corrono. È il risultato di un assedio che ha trasformato la sopravvivenza in concessione politica.
    Nel frattempo riemergono le parole dell’ex capo dell’intelligence militare Aharon Haliva: per ogni vita spezzata il 7 ottobre “cinquanta palestinesi devono morire”, “anche se sono bambini”, “serve una Nakba ogni tanto”. Non sono scivoloni: sono la verbalizzazione di una dottrina. Il castigo collettivo come metodo, la morte civile di un popolo come prezzo accettabile. Quando il lessico della vendetta diventa politica, il genocidio smette di essere un’accusa e diventa la logica conseguenza.
    All’orrore sistemico si affianca una scena che resta negli occhi: il giurista Ghanem Al-Attar cammina alla ricerca d’acqua, vestito con la cura di chi rifiuta di consegnarsi al fango. È la lezione di Primo Levi attraverso il signor Steinlauf: lavarsi nel poco, tenere la schiena dritta, negare il consenso al carnefice. Dignità come ultimo diritto fondamentale.
    Per questo l’Europa non può più barattare il proprio silenzio con condizionali diplomatici. Servono sanzioni efficaci, embargo sulle armi, riconoscimento giuridico dei crimini in corso. Chiamare genocidio ciò che coincide con i suoi elementi costitutivi non è un abuso del linguaggio: è un dovere. Il resto è fuffa criminale.

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  • Accogliamo le vittime, investiamo nei carnefici
    2025/08/15
    Accogliamo i bambini che feriamo. L’Italia apre corridoi umanitari, annuncia l’arrivo di altri 31 piccoli pazienti da Gaza e rivendica di aver già curato più di 180 minori. Bello, giusto, necessario. Ma la foto è incompleta: mentre li abbracciamo sugli aeroporti, continuiamo a oliare i meccanismi che li hanno resi pazienti.
    Il 31 luglio Cdp Venture Capital, braccio pubblico dell’innovazione, entra nel round di finanziamento della israeliana Classiq (quantum computing). Denaro pubblico italiano che sostiene l’ecosistema tecnologico di Tel Aviv in piena guerra. «Strategico», dicono le note ufficiali. Strategico per chi?
    Sul versante militare, i flussi non si fermano. Nel 2024 l’Italia ha rilasciato 42 nuove autorizzazioni d’importazione di armamenti da Israele per quasi 155 milioni di euro e ne ha importati fisicamente per oltre 37 milioni. E verso Israele, sempre nel 2024, abbiamo esportato “armi e munizioni” per 5,2 milioni secondo Istat; tra dicembre 2023 e gennaio 2024 sono partite forniture da guerra per oltre 2 milioni, dopo gli 817 mila euro di ottobre-novembre 2023. Tutto mentre il ministro Tajani ripeteva che «dal 7 ottobre abbiamo bloccato i contratti».
    C’è una parola per questa scena di comodo: «childwashing». Accogliere alcune delle stesse vittime per coprire con sentimento ciò che si continua a finanziare con atti e bonifici. L’Italia che porta i bambini in ospedale è la stessa che investe nell’hi-tech israeliano e mantiene aperti canali d’affari militari. Finché non si tagliano quei flussi, l’abbraccio resta una posa: la carità a valle che serve a rendere accettabile la complicità a monte nella catena del genocidio.

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