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La Sveglia di Giulio Cavalli

La Sveglia di Giulio Cavalli

著者: Giulio Cavalli
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このコンテンツについて

Dal lunedì' al venerdì, ogni mattina, la sveglia per il quotidiano La Notizia. E poi le letture. E tutto quello che ci viene in mente.

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政治・政府
エピソード
  • Occhi su Gaza, diario di bordo #83
    2025/11/25
    Ci sono parole che non reggono più il peso della realtà. “Tregua”, per esempio. Basta guardare le ultime ventiquattr’ore: a Gaza si recuperano altri corpi dalle macerie ad Al-Maghazi, i bombardamenti su Gaza City e Khan Yunis fanno nuovi morti, le tende gelano nella notte e una famiglia costruisce un muro di fango per ripararsi dal vento. Nelle immagini circolate ieri si vede l’altalena di un bambino ucciso, rimasta appesa al soffitto di una casa sventrata. È così che si misura il fallimento di una parola.
    Israele intanto colpisce Beirut per la prima volta da mesi e uccide il capo di Stato maggiore di Hezbollah. Cinque morti, venticinque feriti. Washington — dicono le agenzie — non era stata informata. L’esercito parla apertamente di “risposte sproporzionate” a eventuali ritorsioni, mentre a nord cresce la paura di un’altra guerra. A Gerusalemme Est i servizi chiudono un teatro palestinese durante un evento per bambini: perfino le fiabe diventano un sospetto.
    Sul terreno la “tregua” ha l’aspetto di soldati che sparano tra le rovine, come nel video che rimbalza ovunque con la frase «Ceasefire is boring». Ha l’aspetto del corpo di un ostaggio recuperato a Nuseirat, e dei robot esplosivi piazzati nei quartieri di Gaza. Ha l’aspetto di un lessico che non salva più nessuno, sospeso tra la diplomazia e il fumo nero che sale dalle macerie.
    La chiamano tregua. Forse per abitudine, forse per convenienza. Ma se tutto questo è tregua, allora la pace è un fantasma che non si vede più. E mentre il mondo discute, Gaza continua a essere un luogo dove si sopravvive più che vivere, dove persino le parole chiedono di essere liberate dalla menzogna.
    Tutti gli occhi devono restare su Gaza. Sempre.


    #LaSveglia per La Notizia

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  • Occhi su Gaza, diario di bordo #82
    2025/11/24
    Voi credereste a una tregua che ogni notte lascia nuovi morti? Nelle ultime ventiquattro ore le agenzie parlano di almeno 24 palestinesi uccisi nei raid israeliani su Rafah, Deir al-Balah, Gaza City. A Rimal un’auto colpita è diventata un cratere: secondo l’ospedale Shifa undici morti e oltre venti feriti, molti bambini. A Nuseirat un’unica esplosione ha cancellato tre generazioni della famiglia Abu Shawish.
    Voi credereste a una tregua mentre una delegazione di Hamas siede al Cairo per discutere la de-escalation e, nelle stesse ore, Netanyahu dichiara che «Hamas viola la tregua» e che Israele «agirà comunque»? È il consueto schema: la diplomazia parla, le bombe parlano più forte.
    Voi credereste a una tregua mentre all’ONU solo Stati Uniti, Israele e Argentina votano contro la risoluzione che chiede di prevenire tortura e trattamenti degradanti? Se il principio viene respinto, la pratica diventa più libera, più impunita.
    E mentre il mondo finge di vedere un cessate il fuoco, la Cisgiordania continua a scorrere fuori quadro: più di mille palestinesi uccisi dal 2023, 217 bambini, secondo B’Tselem.
    Nelle ultime ore Israele ha colpito anche Beirut, uccidendo un dirigente di Hezbollah in un raid che Washington dice di non aver autorizzato. Il fronte non si chiude: si allarga.
    Voi ci credereste a una tregua così? Ecco: non credeteci. Non chiamatela tregua, non permetteteglielo. E chiedete al mondo di alzare gli occhi su questo genocidio lento, lasciando perdere qualsiasi narrazione cosmetica. Per questo tutti gli occhi devono restare su Gaza.

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  • Occhi su Gaza, diario di bordo #81
    2025/11/23
    Nella notte i bombardamenti sono tornati a colpire con forza. Le fonti sanitarie di Gaza parlano di almeno venti morti nei raid su case dove intere famiglie stavano dormendo; la dinamica coincide con quanto riportato dalle corrispondenze di Haaretz e dalle agenzie internazionali. L’IDF sostiene di aver reagito a una «violazione della tregua» attribuita a Hamas. È la stessa formula ripetuta da giorni: l’idea che la tregua sia un dispositivo da accendere e spegnere, una variabile tecnica, mentre la vita delle persone diventa il campo di prova.

    Anche Reuters e Associated Press confermano che migliaia di civili sono stati costretti a spostarsi ancora una volta verso i cosiddetti corridoi umanitari, zone sempre più simili a parcheggi di disperati senza acqua né servizi. Eppure queste condizioni non rientrano mai nel conteggio ufficiale delle “violazioni”. Qui entra in gioco la nostra ossessione per il linguaggio: una parte definisce cosa rompe la tregua; tutto il resto, dalle restrizioni agli aiuti alle case rase al suolo, resta fuori dal quadro.

    La Cisgiordania continua a essere il fronte che quasi nessuno nomina. Nelle ultime ventiquattr’ore si registrano un palestinese ucciso a Nablus, diversi arresti notturni e nuovi assalti dei coloni: dettagli confermati sia dalle équipe dell’ONU sia dalle cronache locali. È una guerra lenta, che non ha bisogno di dichiarazioni ufficiali per proseguire.

    Nel frattempo, in Israele crescono ancora le tensioni interne: le famiglie degli ostaggi temono che ogni escalation allontani l’accordo e accusano il governo di usare la tregua come strumento politico. I giornali israeliani ne parlano apertamente, ma questo non sposta la retorica dei vertici.

    La diplomazia europea continua a ripetere che la tregua è fragile, che serve pazienza. Qui, invece, la tregua appare per quello che è: un guscio vuoto che ogni notte si incrina sotto i colpi. E il linguaggio che dovrebbe proteggerla diventa l’alibi perfetto per non vedere.

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