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Parkinson: nuove speranze dalla Sardegna

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L’Università di Cagliari guida un progetto internazionale che indaga il potenziale neuroprotettivo di una particolare famiglia di proteine, con l’obiettivo di rallentare la progressione della malattia di Parkinson

La ricerca scientifica non si ferma mai, soprattutto quando si tratta di sfide complesse come quelle poste dal morbo di Parkinson. Una nuova luce arriva dalla Sardegna, dove l’Università di Cagliari è capofila di un ambizioso progetto europeo che punta a esplorare il potenziale di una famiglia di proteine poco note al grande pubblico: le cromogranine.

Guidato dalla professoressa Cristina Cocco, docente di Anatomia Umana presso la Facoltà di Medicina, il progetto si concentra sull’impiego delle cromogranine come strumento per proteggere i neuroni dalle conseguenze dannose di questa malattia neurodegenerativa. Le cromogranine sono note per il loro ruolo nella regolazione delle risposte cellulari allo stress, e il team di ricerca vuole capire se possano rallentare la degenerazione neuronale tipica del Parkinson.

Il morbo di Parkinson colpisce milioni di persone nel mondo e si manifesta principalmente con la perdita dei neuroni dopaminergici nella cosiddetta sostanza nera del cervello. A peggiorare il quadro clinico, interviene l’alfa-sinucleina, una proteina che si accumula in forma tossica nei neuroni e ne compromette la funzionalità.

Nel laboratorio dell’Università di Cagliari, le cromogranine sono testate in vitro su cellule staminali umane e murine, esposte a una tossina chiamata rotenone, che simula i danni provocati dal Parkinson. Parallelamente, all’Università di Masaryk (Repubblica Ceca), sono effettuati test in vivo su un modello murino della malattia, valutando gli effetti delle cromogranine somministrate per via intranasale. Infine, presso l’Università di Precarpazia in Ucraina, l’attenzione sarà rivolta all’interazione con l’alfa-sinucleina, per comprendere se queste proteine siano in grado di bloccarne l’aggregazione tossica.

Il progetto avrà una durata di 18 mesi e, se i risultati si confermeranno promettenti, le cromogranine potrebbero rappresentare una svolta innovativa nel trattamento precoce della malattia, aprendo la strada a nuove strategie terapeutiche.

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