Episodio 7 - Internisticamente - 25 Ottobre 2025
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このコンテンツについて
Keywords: MGUS, gammopatia monoclonale di significato indeterminato, ipertensione endocranica idiopatica, GLP-1-RA
In questa nuova puntata il Dr. Mancini (Manciobo) presenta due temi di grande rilievo per la medicina internistica: la gammopatia di significato indeterminato (MGUS) e l'ipertensione endocranica idiopatica.
La gammopatia monoclonale di significato indeterminato, o MGUS, è una condizione molto più comune di quanto si pensi. Si tratta di una proliferazione limitata di plasmacellule che producono una proteina monoclonale, detta “proteina M”.
È presente in circa il cinque per cento degli adulti sopra i cinquant’anni e rappresenta la forma più precoce e silente di quella che, in una piccola percentuale di casi, può evolvere in mieloma multiplo o in altre neoplasie linfoproliferative.
Per definirla, servono tre criteri: una concentrazione della proteina M inferiore a tre grammi per decilitro, meno del dieci per cento di plasmacellule clonali nel midollo e assenza di danno d’organo, cioè nessuna ipercalcemia, insufficienza renale, anemia o lesioni ossee. La MGUS può essere di tipo IgG o IgA, più raramente IgM, oppure costituire una forma a catene leggere. Il rischio medio di progressione è di circa l’un per cento per anno, ma non è uguale per tutti.Il modello della Mayo Clinic, oggi punto di riferimento, valuta tre fattori: la quantità di proteina M, il tipo di immunoglobulina e l’alterazione del rapporto tra catene leggere kappa e lambda.
Accanto alla possibile evoluzione neoplastica, esiste un altro capitolo clinicamente cruciale: le cosiddette gammopatie monoclonali di significato clinico, in cui la proteina monoclonale causa direttamente un danno d’organo — renale, neurologico, cutaneo o sistemico — pur senza trasformazione tumorale.La forma renale è la più comune e può manifestarsi con proteinuria, insufficienza renale o sindrome nefrosica; quella neurologica, con neuropatie sensitive e demielinizzanti, spesso associate a IgM.
La ricerca più recente, come i progetti iSTOPMM e PANGEA, punta a ridefinire il rischio in modo dinamico, usando dati genomici e modelli digitali per anticipare la progressione e identificare i pazienti che meritano un monitoraggio più stretto o una terapia precoce.
Passando invece all’ipertensione endocranica idiopatica, si entra in un ambito completamente diverso, ma altrettanto clinicamente rilevante.
È una condizione che colpisce quasi esclusivamente donne giovani e obese, e si manifesta con cefalea cronica, oscuramenti visivi transitori, tinnito pulsante e talvolta diplopia.
Il segno distintivo è il papilledema, il gonfiore del disco ottico causato dall’aumento della pressione del liquor, che può condurre a cecità irreversibile se non trattato.
La diagnosi si basa sulla risonanza magnetica con venografia, che esclude masse o trombosi ma mostra segni tipici come la sella parzialmente vuota, la distensione delle guaine ottiche e, soprattutto, la stenosi dei seni venosi trasversi, considerata oggi il meccanismo patogenetico chiave della malattia.
La puntura lombare conferma il quadro se la pressione di apertura supera i venticinque centimetri d’acqua, ma spesso ha anche una funzione terapeutica.
Il trattamento si fonda su due pilastri: riduzione del peso e acetazolamide, che riduce la produzione di liquor.
La vera novità, però, sono gli agonisti del recettore GLP-1, come il semaglutide, che uniscono perdita ponderale e riduzione diretta della pressione liquorale, aprendo prospettive di remissione senza intervento chirurgico.
Nei casi gravi o a rischio visivo immediato, rimangono indicati lo shunt liquorale o lo stenting dei seni venosi, capaci di abbassare rapidamente la pressione e salvare la vista.
Oggi, grazie a una diagnosi precoce e a nuovi farmaci, l’ipertensione endocranica idiopatica è una condizione sempre più controllabile, ma resta fondamentale riconoscerla in tempo: perché la cecità da papilledema si può prevenire, ma non si può recuperare.