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La fada Calamita

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このコンテンツについて

l Santo camminava tra i prati e le contrade, lui su un cavallo bianco, il suo segretario su un cavallo nero. Il Papa lo aveva inviato a Trento dove, nella grande basilica, vescovi e cardinali non riuscivano a portare a termine il Concilio. Tra di loro, vestito da frate, vi era il diavolo che con le sue parole ingannatrici seminava la discordia. L’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo era già in odore di santità. Ecco che il Santo Padre era certo che recandosi a Trento avrebbe sconfitto Lutero e i suoi seguaci che predicavano che «el papa no’ l’era el Cristo in tera» e avrebbe portato a termine il Concilio. La chiesetta dedicata a San Carlo Borromeo, a Camposilvano, lungo l’antica strada che conduce ai pascoli alti della Lessinia, è un indizio del passaggio dell’Arcivescovo. Ma perché a Camposilvano? E perché salire sulle montagne della Lessinia per arrivare a Trento?Vi erano i briganti ad aspettarlo alla Chiusa di Ceraino e fu uno di loro, fedele al papa, ad andare incontro a San Carlo e ad avvertirlo del pericolo. Così l’Arcivescovo decise di salire sulle Sine (i Lessini), percorrere il Vaio di Squaranto e la Strada Cavallara arrivando proprio a Camposilvano. Chiesta ospitalità per la notte, a sera San Carlo si sentì raccontare dalla gente del posto le storie delle fade, esseri malefici che rapivano i bambini incustoditi, strangolavano le donne con fazzoletti di seta e tenevano prigionieri i montanari. Immagino, davanti alla chiesetta, il santo seduto su uno scranno, con intorno un capannello di persone. Mi chiedo se la gente di Camposilvano gli parlasse in tauc, l’antico dialetto alto-tedesco, il così detto cimbro, e come fossero riusciti quei contadini e boscaioli a spiegare a San Carlo che le fade un tempo erano solidali con gli uomini, avevano insegnato loro il segreto per fare il formaggio con il caglio e regalavano alle donne gomitoli di lana che non finivano mai.Fu a causa della curiosità e la malizia di alcuni giovanotti che diventarono ostili. Aspettatele fuori della stalla dove partecipavano al filò, vennero loro strappati di dosso i meravigliosi abiti per vederne il corpo e scoprire così che le bellissime ragazze arano pelose, con vipere vive al posto delle cinture e le zampe come quelle di una capra. Ecco che, da allora, si vendicarono con i montanari tormentandogli in ogni modo. I massi del Vaio delle Buse sono dipinti di giallo dal primo sole d’autunno. Tra queste pietre friabili, che qualcuno chiama sfingi, gli orchi andavano a spiare le fade mentre, nude, si lavavano nella pozza d’acqua. Cerco lo spioncino da dove gli orchi le guardavano segretamente ma non lo trovo. Da qui, dove avevano la loro dimora, le fade vennero poi scacciate proprio da San Carlo Borromeo quando, arrivato a Trento, scagliò la sua maledizione contro di loro e le costrinse a vivere nel Cóvolo di Camposilvano, la grande caverna che perfino Dante visitò, trovandone ispirazione per il suo Inferno.Quante volte sono sceso nel Cóvolo? E quante storie ho cercato qui, protetto da questa immensa corona di roccia che strapiomba nel buio del sottosuolo? Ricordo Attilio Benetti, indimenticabile ispiratore, consigliere e amico, quando raccontandomi la storia di Calamita mi indicava la fessura nella parete di roccia dov’ella, che aveva il dono di potersi trasformare in essere incorporeo, poteva passare per entrare nella sua sontuosa dimora. Un tempo era costei ella stessa una fada ma per i suoi meriti (aveva insegnato ai montanari a fare la ricotta) fu trasformata da San Carlo in una donna bellissima che non invecchiava mai. La sua abitazione era scavata nella roccia, nell’antro più segreto del Cóvolo, le pareti delle stanze erano rivestite di cristalli, sulla cappa del camino vi era appeso uno schioppo con il calcio di lamine d’oro e su uno scaffale di legno stava in bella mostra il Libro del Diavolo. Calamita possedeva, infine, una vecchia pignatta nera che si riempiva di ogni cosa desiderata soltanto sfiorandola con due dita e recitando le parole magiche.Ma, pur avendo tutto ciò che desiderava, Calamita era sola. Così decise di sposarsi con un montanaro che le fosse piaciuto. Si vestì riccamente, con una abito di seda del Trentin e uno scialle ricamato d’oro, grazie ai suoi poteri uscì dalla stretta fessura nella roccia e raggiunse un crocevia.Cammino verso la Valsguerza. Penso alla cava di marmo giallo reale che l’avrebbe devastata e avrebbe distrutto l’antica carrareccia se, ventitré anni fa, in migliaia non avessimo camminato in silenzio per salvarla. Al crocevia della Crose del Galo immagino Calamita aspettare che passasse di lì qualcuno che le piacesse. Passò un giovane e vedendo una donna così bella, di notte, fuggì a gambe levate per andare a rifugiarsi in una stalla e raccontare, pallido per lo spavento, d’aver incontrato un’anima purgante venuta a intercedere per i suoi peccati. Calamita pensò d’averlo spaventato a causa dei suoi abiti preziosi, tornò...
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