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Global Sumud Flotilla, diario di bordo #35

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Chissà se Giorgia Meloni e Antonio Tajani hanno trovato il tempo di ascoltare Saverio Tommasi quando racconta di essere stato «trattato come una scimmia da circo». Chissà se hanno ascoltato Paolo Romano, tornato dopo giorni di detenzione, o chi parla di «violenze fisiche e verbali, subito, appena sbarcati». Gli attivisti italiani rientrati dalla Flotilla raccontano percosse, insulti, interrogatori senza legali. Eppure Tajani ripete che «la pace è più vicina», mentre chiede “trattamenti migliori” a chi ha sequestrato connazionali in acque internazionali. Qualcuno dica agli italiani che per Israele non solo il diritto internazionale ma anche gli italiani valgono fino a un certo punto.
Chissà se Meloni e Tajani hanno trovato il tempo di ascoltare chi è rimasto. Quindici italiani sono ancora trattenuti, famiglie senza notizie da giorni. Intanto da Marsiglia e Tunisi è partita una nuova flotta civile: medici e infermieri con bisturi e speranza. Sanno che il diritto internazionale vale sempre meno per chi non interessa alle potenze amiche.
Ore dopo che il ministero israeliano degli Esteri ha negato le torture, il ministro della sicurezza Ben Gvir ha rivendicato tutto: «Sono orgoglioso che gli attivisti della Flotilla siano trattati come terroristi». Il manifesto di un potere che non nega più, rivendica.
A Washington e Gerusalemme il piano di pace di Trump si scrive come una resa. Israele prepara in Egitto i campi per la diaspora palestinese. È la pace disegnata con i bulldozer. Domani rientreranno gli ultimi italiani della Sumud. Ma il vento continuerà a soffiare finché Gaza non sarà libera.


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