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Global Sumud Flotilla, diario di bordo #32

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Gli occhi restano su Gaza. La Croce Rossa ha sospeso le attività a Gaza City e ha ridislocato il personale più a sud per l’escalation: chi resta al nord viene spinto alla fuga da un ultimatum che parla di «ultima opportunità» per lasciare la città, con il ministro Katz che avverte che chi rimane sarà trattato da «terrorista o sostenitore». Fame, ospedali al limite, vie di fuga a singhiozzo: è la fotografia di oggi.
Intanto si chiama “pace” un piano che non promette diritti. Il progetto di Donald Trump è accolto con favore da Bruxelles e da diverse capitali europee; Roma si allinea, ringrazia Washington e si dice pronta a «fare la sua parte». È qui la frattura: le piazze chiedono un cessate il fuoco reale e corridoi umanitari veri, non una normalizzazione senza sbocco politico.
In mare, la missione è di fatto conclusa. Israele ha molte imbarcazioni e circa duecento attivisti sono stati fermati e trasferiti ad Ashdod per l’identificazione. Le espulsioni sono già in corso e il governo italiano conferma che i connazionali saranno rimpatriati. Si chiamano deportazioni.
Resta però un gesto ostinato: la Mikeno ha toccato le acque palestinesi prima di perdere contatto. L’esercito israeliano smentisce, ma il simbolo è già lì, nella rotta che ha bucato la rassegnazione. In un Mediterraneo militarizzato, una barca civile ha ricordato che il blocco non è un destino, ma una scelta politica che produce fame.
Nella vita bisogna decidere se essere come Antonio Tajani, che balbetta sul diritto internazionale oppure come la Mikeno, piccola e testarda, che ha tenuto la prua verso Gaza per ricordarci che dignità e legalità non si espellono e non si rimpatriano.


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