『San Zeno e Bandindon』のカバーアート

San Zeno e Bandindon

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Pastorale, canna da pesca e mànego per giocare a s-cianco. San Zeno, nella sua basilica, mi guarda e sorride. Sta certamente pensando alla rocambolesca partita con il diavolo Bandindon. Quella volta il demonio, sconfitto dal vescovo moro, fu costretto a volare a Roma a prelevare la coppa di porfido rosso che ora si trova all'ingresso della chiesa, dove un tempo era custodito il Carroccio della Lega Veronese. Sul suo fianco sono impressi i segni delle unghiate del diavolo. Sempre in lotta San Zeno e il demonio. L'acerrimo nemico del vescovo non si rassegnò nemmeno dopo la sua morte, quando volle impedire che le sante spoglie riposassero nella nuova cripta. Nell'807 dovettero scendere dal Monte Baldo due santi eremiti, Benigno e Caro, per traslare la salma, ché la semplice fede dei poveri è più forte dell'ostenta ricchezza di arcidiaconi, vescovi e re. Sulla facciata del capolavoro romanico si leggono non solo i racconti del Vecchio e del Nuovo Testamento, della liberazione di Adelaide di Borgogna e della caccia di Re Teodorico, ma anche i segni della storia popolaresca di questo rione. Gli strani tagli sulle lesene accanto al protiro furono lasciati dai soldati romano-barbarici che usavano affilare le loro spade su queste pietre. Sugli altorilievi accanto al portale ci sono invece singolari incavi tondi. Non sarà stato Minico Bardassa e gli altri monelli cantati da Berto Barbarani a lasciare impresse sulla facciata della basilica queste coppelle levigate. Par di vederli, i ragazzacci, giocare a pallone sulla piazza, e ogni tanto tirare la palla oltre la piera del gnoco (o tàola dei pitochi) su cui, grazie al lascito del medico Tommaso Da Vico, il Venerdì Gnocolaro dodici poveri del quartiere potevano mangiare gnocchi a sazietà. Capitava allora che il pallone finisse dentro all'Arca di Re Pipino, dove i sanzenati volevano dormisse sogni eterni il figlio di Carlo Magno, così che i mocciosi dovevano recuperarla scendendo nel sottosuolo, attenti a non svegliare il sovrano sepolto. Le ha raccolte e trascritte Giuseppe Rama queste e le altre Storie de San Zen, che noi le avremmo dimenticate e non saremmo qui a camminarle. «Lassa che i zuga... dopo i morirà», dice la chiesa, con le parole del poeta, al suo moroso campanile, geloso e infastidito dal chiasso dei bambini sulla piazza. «Ho visto i pari de so pari, i noni / de so noni zugar sempre così...», prosegue ancora la basilica, adusa da mille anni a sopportare le pìrole di legno battute da Minico Bardassa e da tanti disgraziati come lui. È ben contenta di guardare i bambini giocare sulla piazza (ma ci sono ancora?) se perfino San Zeno, un giorno, sfidò a lippa il diavolo Bandindon.
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