Mapplethorpe, il cortocircuito tra santità e trasgressione
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Il torso nudo di un ragazzo afroamericano richiama la statuaria greca ma anche l’eros doloroso di San Sebastiano di Andrea Mantegna. C’è Patti Smith, amante prima e amica intima dopo, che sembra una madonna rock, con i capelli lunghi e lo sguardo da ragazza. Come nasce questo cortocircuito tra trasgressione e santità, il vero fuoco della fotografia di Mapplethorpe? Be’, lo ha spiegato lui stesso in un’intervista concessa a Patricia Morrisroe, oggi confluita in una biografia, «Una vita», pubblicata da Marsilio: «La mia vita — le disse Robert - è persino più interessante delle mie opere».
È vero. Il fotografo che subirà un processo per oscenità, l’artista che ha scandalizzato il perbenismo americano degli Anni Settanta, l’uomo che ha sublimato le pratiche sadomaso in una figurazione lirica e persino trascendente, nacque nel 1946 in una famiglia di origini irlandesi, profondamente cattolica e tradizionale. E non è un paradosso dire che è proprio qui che prende fuoco la prima scintilla di quel cortocircuito di santità e trasgressione. E questa alchimia non ha nulla di teorico, bensì è una questione tecnologica. Negli Anni Settanta il compagno Sam Wagstaff gli regala una macchina fotografica Hasselblad, apparecchio pensato per il formato quadrato. È qui che Mapplethorpe intuisce che racchiudendo in una forma compiuta e armoniosa un’immagine si può conferire a questa un peso simbolico differente, che rimanda alle icone sacre o all’armonia dei classici, molto vicina al divino anche quando si tratta di corpi nudi. Il formato quadrato — o comunque dalle proporzioni perfette — trasfigura il corpo erotico in un corpo vicino alla sfera divina.
I ragazzi nudi finiscono per sembrare dei martiri, le donne muscolose — come la modella e bodybuilder Lisa Lyon — compaiono come delle modernissime dee greche, i personaggi come Patti Smith o Isabella Rossellini sembrano delle icone. E, a proposito, lo stesso avviene nel percorso artistico di Andy Wharol, cresciuto nella comunità cristiano-ortodossa di Pittsburgh: le sue zuppe pronte, riprodotte in primo piano come il volto di un santo, in un formato che rispetta le regole dell’armonia e delle proporzioni, assumono un aspetto religioso, come di quadro devozionale. La differenza è che Warhol allude alla sacralità della merce, del «prodotto da consumare», mentre i fiori di Mapplethorpe mantengono una forza vitale autonoma, mai passiva, come dei soggetti vivi. È questo il moderno miracolo di Robert Mapplethorpe, quello che giustifica il titolo della mostra e che, in qualche modo, arriva fino a noi: i corpi - nella loro natura più intima — non hanno tempo, colore, etichette erotiche, gabbie ideologiche. I corpi sono quanto di più vicino al divino ci ritroviamo a possedere. La domanda è: ne siamo consapevoli?
rscorranese@corriere.it
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