Come la Cina ha sconfitto la povertà (e perché l’Italia rifiuta di imparare)
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In settant’anni la Cina ha realizzato qualcosa che l’Occidente preferisce ignorare: ha sottratto 850 milioni di persone alla povertà estrema, contribuendo da sola a circa il 70% della riduzione globale della povertà.
Non slogan, ma strade, case, sanità, istruzione, lavoro e presenza reale dello Stato nei territori più difficili.
Questo monologo ripercorre l’intera traiettoria cinese:
dalla Cina rurale e poverissima del dopoguerra, passando per le riforme fondamentali del periodo maoista, fino all’apertura controllata di Deng e alla campagna di alleviazione mirata della povertà sotto Xi Jinping. Un programma mastodontico, multidimensionale e profondamente politico, che ha mobilitato milioni di militanti, funzionari, risorse pubbliche e imprese statali per affrontare le disuguaglianze territoriali e sociali.
La povertà non viene trattata come un semplice problema di reddito, ma come una combinazione di mancanza di servizi, infrastrutture, istruzione, sanità e opportunità. Esattamente ciò che oggi colpisce le Aree Interne italiane, abbandonate da uno Stato che ha scelto di ritirarsi.
Il punto non è “copiare la Cina”, ma imparare da chi ha dimostrato che lo sviluppo non è un fatto spontaneo di mercato, bensì una scelta politica.
Se la Cina ha portato lo Stato nei villaggi più remoti, perché in Italia lo Stato continua a sparire proprio dove ce ne sarebbe più bisogno?
Un’analisi scomoda, ma necessaria, per capire cosa funziona davvero quando l’obiettivo non è il profitto di pochi, ma la dignità materiale di molti.