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Protezione complementare e diritto alla vita privata_ il Tribunale di Bologna ribadisce i limiti al potere di espulsione

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Protezione complementare e diritto alla vita privata: sentenza Tribunale di Bologna 12 dicembre 2025, ruolo generale 13822 del 2025 Buongiorno, sono l’Avvocato Fabio Loscerbo e questo è un nuovo episodio del podcast Diritto dell’Immigrazione. In questa puntata analizziamo una sentenza particolarmente rilevante del Tribunale Ordinario di Bologna, pronunciata il 12 dicembre 2025 e iscritta al ruolo generale 13822 del 2025, che affronta in modo chiaro e strutturato il tema della protezione complementare fondata sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, ai sensi dell’articolo 19 del Testo Unico Immigrazione. La vicenda riguarda una cittadina straniera presente in Italia da diversi anni, con un percorso di vita ormai stabilmente radicato nel territorio nazionale. La Questura aveva rigettato la richiesta di protezione complementare, richiamando il parere sfavorevole della Commissione territoriale e ritenendo non sufficientemente dimostrato il livello di integrazione sociale. Il Tribunale di Bologna, con la decisione del 12 dicembre 2025, ha invece accolto il ricorso, affermando principi di diritto che dovrebbero essere ormai acquisiti, ma che nella prassi amministrativa continuano a essere spesso disattesi. Il Collegio chiarisce innanzitutto che la protezione complementare non richiede l’accertamento di un rischio di persecuzione né di trattamenti inumani o degradanti. Il fulcro della valutazione è diverso e si concentra sulla verifica del possibile pregiudizio che deriverebbe dall’allontanamento dal territorio nazionale, qualora esso comporti una violazione concreta del diritto alla vita privata e familiare. Un diritto che non si esaurisce nei legami familiari in senso stretto, ma comprende l’insieme delle relazioni sociali, affettive e lavorative che una persona ha costruito nel tempo. Nel caso esaminato, il Tribunale ha valorizzato una serie di elementi fattuali molto concreti: la lunga permanenza in Italia, la presenza stabile del nucleo familiare, la frequenza scolastica dei figli, l’attività lavorativa, anche se caratterizzata da discontinuità stagionale, e l’autonomia abitativa. Tutti questi elementi, considerati nel loro complesso, delineano un progetto di vita reale e strutturato, che non può essere sacrificato sulla base di valutazioni astratte o meramente formali. Un passaggio centrale della sentenza riguarda il principio di proporzionalità. Il Tribunale di Bologna ricorda che l’allontanamento di una persona già integrata è legittimo solo se giustificato da concrete esigenze di sicurezza nazionale o di ordine e sicurezza pubblica. In assenza di tali presupposti, lo sradicamento dal contesto di vita costruito in Italia si traduce in una compressione ingiustificata dei diritti fondamentali, in contrasto con l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La decisione affronta anche il tema dell’integrazione, chiarendo che essa non deve essere intesa come un risultato ideale o totale. Non è richiesto un inserimento pieno, irreversibile o definitivo. È sufficiente un apprezzabile sforzo di inserimento nella realtà sociale italiana, dimostrabile attraverso il lavoro, la partecipazione alla vita familiare e sociale, e la costruzione di relazioni stabili. Una lettura realistica, coerente con la funzione stessa della protezione complementare, che nasce per tutelare situazioni umane concrete. Di particolare rilievo è anche il richiamo al regime transitorio. Il Tribunale ribadisce che, trattandosi di una domanda presentata prima dell’entrata in vigore del cosiddetto Decreto Cutro, continua ad applicarsi la disciplina previgente. Ne consegue il riconoscimento di un permesso di soggiorno di durata biennale, che consente lo svolgimento di attività lavorativa, è rinnovabile ed è convertibile in permesso per motivi di lavoro. Un profilo spesso ignorato nella prassi amministrativa, ma determinante nella vita delle persone coinvolte. La sentenza del Tribunale di Bologna del 12 dicembre 2025, ruolo generale 13822 del 2025, si inserisce in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato e conferma che la protezione complementare non è una concessione discrezionale dell’Amministrazione, ma un vero e proprio diritto soggettivo, quando ricorrono i presupposti previsti dalla legge. Raccontare e spiegare queste decisioni è essenziale, perché solo attraverso una corretta applicazione delle norme e un uso consapevole della giurisprudenza si può garantire un equilibrio tra l’esercizio del potere amministrativo e la tutela effettiva dei diritti fondamentali. Grazie per l’ascolto e alla prossima puntata di Diritto dell’Immigrazione.
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